FAP ACLI NAPOLI

FAP ACLI NAPOLI non ci sono più i pensionati di una volta

sabato 5 febbraio 2011

Fap Acli: relazione del segretario nazionale Pasquale Orlando

Cari Amici,
abbiamo convocato in Umbria questo Comitato Nazionale per dare un segno chiaro di vicinanza alle nostre esperienze territoriali. Vogliamo incontrare frequentemente le nostre strutture provinciali e regionali per conoscerle e sostenerle. In questo quadro abbiamo con piacere accettato l’invito della Fap di Terni che ha organizzato per la giornata di domani un importante convegno.

La FAP è un sindacato. La Federazione anziani e pensionati delle ACLI è un sindacato e ormai un sindacato non minore. L’obiettivo fissato negli anni scorsi di arrivare ai 100.000 iscritti al Congresso è stato raggiunto e oggi dobbiamo assumere la coscienza di essere entrati in una fase adulta della nostra federazione. Il recente congresso ha confermato il ruolo di rappresentanza sindacale e politica dei pensionati e degli anziani, consapevoli dell’urgenza di incrementare incisività ed efficacia del nostro pensare ed operare. Oggi la Fap vuole aprire un confronto con i suoi iscritti e con l’intero mondo aclista in una fase in cui siamo chiamati alla definizione di un programma di crescita e sviluppo mentre consolidiamo l’identità appena definita in questi anni tumultuosi e proficui. Non siamo chiamati a contrattare i rapporti e le condizioni di lavoro come i sindacati dei lavoratori in produzione ma a rivendicare la realizzazione e la tutela dei diritti esigibili di anziani e pensionati, nel quadro delll’obiettivo del Movimento teso alla promozione dei diritti di cittadinanza. Ci guida in questo compito la Carta Costituzionale che ci spinge alla giustizia sociale e alla partecipazione. I diritti sociali non sono più scontati. Le compatibilità di bilancio li fanno indicare come ostacolo ad una presunta ‘modernizzazione’ del paese e dello stato sociale. Basti pensare al diritto alla salute e alla protezione sociale proclamato dalla Costituzione e da realizzarsi con le leggi che rimandano alla definizione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria (LEA) e dei livelli essenziali delle prestazioni sociali (LIVEAS). I ritardi, la povertà di risorse messe a disposizione, le difformità territoriali con le quali si procede all’attuazione concreta di questi diritti e di queste tutele, vanno giudicati e denunciati come una vera e propria violazione della legge. Dobbiamo ritrovare la voce per gridare che ogni diritto è veramente tale quando è esigibile, anche attraverso la tutela giudiziaria, anche introducendo nell’ordinamento la possibilità di ricorso da parte delle organizzazioni di rappresentanza come la nostra. Si delinea in questo modo un impegno ampio, ma anche estremamente pesante, per il nostro sindacato: agire affinchè i diritti sociali non diventino una variabile soggetta alla volontà della maggioranza di governo del momento, ma siano costantemente rispettati come un principio giuridico vincolante per le forze politiche, alle quali resta l’obbligo di individuare i modi per realizzarlo.

La “Mozione” ha già indicato chiaramente dove vuole collocarsi il percorso dell’ attività della Fap nel quadriennio: nelle realtà acliste, i Circoli e le Zone, che sono veri presidi sociali del territorio, ricercando all’esterno alleanze sociali.
La rinnovata azione di pratica sociale dovrà partire dai reali bisogni individuali dei tanti anziani e pensionati, per costruire reali e possibili percorsi di rappresentanza dei diritti esigibili, sviluppando le relazioni ed il dialogo con le istituzioni, a partire da quelle locali.

La FAP accentuerà quindi il suo impegno sindacale a livello centrale nella tutela delle pensioni e del welfare. Vogliamo evitare che le politiche sociali siano il target del tiro a segno degli strali delle ricorrenti finanziarie. Crediamo che le politiche sociali siano indispensabili alla tenuta della necessaria coesione sociale del paese e che senza tutela delle fasce deboli l'Italia non potrà garantirsi i presupposti dello sviluppo possibile. In primo luogo saremo insieme a tutta la complessa rappresentanza degli anziani e dei pensionati per garantire i livelli essenziali di assistenza alle tantissime persone non autosufficienti che subiscono una drammatica emarginazione.
L'anziano è davvero una grande risorsa sociale in una fase in cui le giovani generazioni si vedono chiuse le porte del mercato del lavoro ma la loro difesa è ancora più necessaria quando la risorsa si esaurisce e la società emargina le persone anziane.

Questo lavoro non può svolgersi solo a livello centrale ma deve percorrere i territori comunità per comunità. A livello locale bisogna garantire l'impegno della FAP ACLI nelle difficili vertenze per la salute rese drammatiche dai tagli alle strutture sanitarie ed ospedaliere mentre in tanta parte del paese non decollano i servizi territoriali di prevenzione e cura. Qui nasce la forte domanda di un nuovo tipo di sportello socio-sanitario capace di affrontare una domanda difficile ed inevasa.
La nuova stagione di crisi finanziaria degli enti locali mette in dubbio le conquiste sul piano dei trasporti mentre la qualità della vita delle persone anziane e delle fasce deboli della società non trova la giusta considerazione nell'elenco delle priorità dei piani sociali di zona costretti a dolorose selezioni mentre la 328 langue e muore in moltre regioni.
Lo snodo della programmazione regionale reso strategico dall'avvio del federalismo implica una forte accentuazione del nostro carattere di associazione plurale capace di dotarsi regione per regione di livelli autorevoli di rappresentanza e capacità di leggere la realtà partecipando con le altre parti sociali alla necessaria anche se negletta concertazione sociale.

In questo senso va messa in campo una intensa stagione formativa per qualificare e socializzare i nuovi responsabili provinciali e regionali eletti dai recenti congressi.

La FAP ACLI per raggiungere gli importanti obiettivi che i suoi soci le assegnano deve accentuare il suo forte carattere associativo garantendo massima partecipazione, trasparenza e democrazia. Gli iscritti possono dare un maggiore contributo nell'ambito di una piena cittadinanza nella federazione.
Mai utenti ma soggetti in grado di leggere i bisogni offrendo risposte personali e collettive.
Si tratta di garantire nuovi servizi agli associati a partire dai consumi e dall'accesso ai servizi, costruendo una organizzazione di qualità radicata capillarmente sul territorio nazionale valorizzando la forza della mutualità e l'enorme potenziale del lavoro volontario degli anziani e dei pensionati. Tutto ciò nell'ambito del sistema associativo delle ACLI di cui proprio gli anziani possono essere protagonisti di una nuova stagione di autogestione aperta e democratica. Tutti i segmenti della grande associazione dei lavoratori cristiani possono essere strade di risposta ai bisogni e luoghi di protagonismo sociale. Dal turismo allo sport, dall'agricoltura e gli orti sociali, dalle cooperative di consumo alle nuove esperienze di housing sociale, dalla formazione continua al volontariato internazionale fino ai grandi e forti servizi di assistenza previdenziale e fiscale, si tratta di piste consolidate su cui percorrere un cammino nuovo di solidarietà.

comunicazione
La segreteria ha valutato strategico il ruolo della comunicazione per la nostra organizzazione.
L’idea è di iniziare dall’interno raggiungendo tutti i gruppi dirigenti territoriali.
Innanzitutto verrà ampliata la platea dei destinatari della nostra newsletter che ancora è troppo mirata al Palazzo. Si tratta di raccogliere gli indirizzi email di tutti i componenti degli organismi provinciali e regionali per consentire a tutti di ricevere periodicamente le notizie FAP.
Il sito è stato già oggetto di piccoli cambiamenti tesi a valorizzare le iniziative dei territori. Sin dalle scorse settimane cominciamo a vedere spuntare i cento fiori delle molteplici attività sociali realizzate nel Paese.
Con il nuovo anno si provvederà ad una piena riprogettazione del sito per garantire la più semplice accessibilità ai contenuti che insieme dovremo accumulare in modo dinamico.

Nelle Acli


Prioritaria è l’esigenza di stringere un rapporto forte con il Patronato oltre le sperimentazioni del passato. Un rapporto di qualità che contenga la sapienza e la competenza sulla vicenda previdenziale e la capacità nostra di offrire agli utenti del Servizio una proposta associativa credibile ed un ambiente caldo di partecipazione e vicinanza nell’età della solitudine. I prossimi mesi serviranno a livello centrale e periferico a definire una strategia comune capace di valorizzare le diverse competenze.


Anche con il Caf bisogna costruire un progetto, oggi reso possibile dalla forte innovazione del nostro servizio fiscale nel trattamento dei dati territoriali e dal possibile interfacciare il tesseramento di sistema delle ACLI.

Acli terra e Fap hanno un cordone ombelicale che non può essere solo giuridico. Si tratta di lavorare insieme per garantire ai lavoratori anziani dell’ agricoltura nuovi servi e opportunità valorizzando i percorsi sociali della ruralità del nostro paese. Bisogna inoltre sostenere il dialogo e la collaborazione di Acli Terra con Coldiretti sperimentando un rapporto con la sua organizzazione dei pensionati.

Il Centro Turistico ACLI, nel quadro delle iniziative per la scelta del cinque per mille ha avviato la progettazione di una campagna intitolata “TERZA ETA’, TEMPO DI LIBERTA’”, turismo sociale e assistito per le persone diversamente giovani.
L’idea, su cui abbiamo iniziato ad interloquire, è quella di favorire opportunità di turismo sociale per le persone anziane e pensionate per qualificare il tempo libero offrendo una gamma di iniziative di viaggi e soggiorni sociali (tematici e con idonee attività di socializzazione), con il miglior rapporto costo/qualità, ma soprattutto con la possibilità di fruire sia di un FONDO di solidarietà (fondo 5x1000 in base a coefficienti di reddito) per l’accesso alla vacanza, sia l’eventuale promozione dei BVI(Buoni Vacanze) “un turismo davvero per tutti”, ovvero anche con la possibilità di offrire alle persone anziane con (verificata tipologia di) disabilità un servizio di accompagnamento e assistenza al viaggio e al soggiorno con personale adeguato, il cui costo sia sostenuto dal FONDO del 5x1000 del progetto “TERZA ETA’,TEMPO DI LIBERTA’”.
Rivolgersi agli anziani è certamente utile alla promozione del tesseramento CTA ma offrire una proposta turistica qualificata è un ottimo viatico per la delega FAP che peraltro si può correttamente accettare in sintonia con i diversi tesseramenti del nostro Movimento. A ben vedere questa idea può favorire una azione di comunicazione e sensibilizzazione della condizione degli anziani e del “diritto alla vacanza”, del beneficio sociale, culturale, fisico e psicologico della vacanza e della riscoperta tanto di località turistiche, dei luoghi della memoria, quanto del sano divertimento.

L’Entour è pronta a creare per noi una newsletter specifica con cadenza mensile e l’opportunità per i nostri gruppi che lo volessero di accedere alla newsletter preparata per gli operatori turistici con frequenza più stretta. All’tour operator delle ACLI abbiamo chiesto di progettare un viaggio annuale a medio raggio come appuntamento ricorrente per i nostri gruppi

Il Congresso ci ha dato una precisa indicazione sulla collaborazione con ACLI Colf che sono il luogo associativo dove le persone che reggono una grande parte del compito della assistenza alle persone anziane non autosufficienti.

Possiamo invece programmare autonomamente già per la prossima estate un grande evento FAP.Una vera e propria festa/vacanza in cui far incontrare le realtà territoriali, proponendo a tutti i nostri soci una esperienza di qualità ad un prezzo equo con alcuni momenti di studio e riflessione. Dalla FAP , grazie alla sua ampia basa sociale, può venire un modello di associazione popolare e di massa per tutto il Movimento.

la Funzione progettazione ed Innovazione sociale ha presentato un progetto 383 il cui tema è orientato verso gli anziani e dal titolo “riGenerazioni - Percorsi di valorizzazione delle competenze per contrastare condizioni di povertà ed esclusione sociale degli anziani”;

Tante sono quindi le belle sfide che possiamo raccogliere e lanciare nel grande mondo aclista. Lo faremo con attenzione e volentieri.









Resta però forte l’esigenza di caratterizzare in modo forte la nostra identità e la nostra specificità.
Credo che dovremmo farlo già avviando la Campagna di adesioni per il 2011.

Pensiamo alla realizzazione di una campagna nazionale di volontariato dei pensionati, “IL TUO TALENTO PER IL NUOVO LAVORO”.
Si tratta di creare una “banca dei mestieri” per conoscere le precedenti attività lavorative dei pensionati FAP e indirizzarle alla costruzione di nuovo lavoro, tentando di avviare nei prossimi 4 anni, la costituzione di almeno una impresa/sociale/cooperativa per l’inserimento dei giovani al lavoro. In tutte le regioni.
L’idea va oltre la suggestione di rivalutare e scoprire i vecchi mestieri ed i lavori antichi che man mano stanno sparendo ed organizzare corsi di formazione con il volontariato dei pensionato pronto a dare assistenza “formativa” ai giovani.
L’idea è di mettere il dito nella piaga dell’incomunicabilità tra le generazioni. L’idea è quella di rispondere con i fatti a chi vuole togliere agli uni per non dare a nessuno.
L’idea è quella di immettere un link generazionale in una società che ne ha sempre più bisogno.
L’11 Novembre il Parlamento europeo riunito in sessione plenaria ha adottato a maggioranza dei voti la relazione sulla sfida demografica e la solidarietà tra le generazioni, presentata ieri dal suo relatore, l’europarlamentare tedesco Thomas Mann. Oggi i paesi occidentali, ed in particolare l’Europa, stanno affrontando una sfida demografica ed economica che ha conseguenze dirette sul buon funzionamento del mercato del lavoro. Sia i giovani che i senior hanno serie difficoltà a trovare lavoro. Tra i 14 e i 24 anni di età si registra il più elevato tasso di disoccupazione, mentre tra i 55 e i 64 anni solo un cittadino su due lavora. Non è un segreto che la nostra società stia progressivamente invecchiando e che, come conferma il relatore del rapporto, ‘ci saranno sempre più ‘lavoratori anziani’, sempre più pensionati e over-80. Di conseguenza ci saranno sempre meno bambini, giovani e adulti in età da lavoro.’ Di qui, la proposta dell’eurodeputato Mann di promuovere un invecchiamento attivo, di trovare soluzioni convincenti contro la disoccupazione giovanile, e di sostenere politiche sociali a favore della famiglia, dell’infanzia e degli immigrati. Il pacchetto di misure proposte mette al centro la solidarietà tra le generazioni del Vecchio Continente come fattore cruciale di cambiamento.

Banca dei mestieri
Credo davvero che per favorire l’integrazione sociale degli anziani e dei pensionati sia importante valorizzarne professionalita', e competenze. Per questo si propone, utilizzando i dati delle adesioni e delle deleghe con opportune modifiche al programma informatico che le sostiene, di creare una vera e propria banca dati sperimentale per conoscere e contribuire a valorizzare meglio le storie lavorative' dei nostri soci.

Le ultime rilevazioni sottolineano che gli italiani sono un popolo di altruisti, soprattutto i pensionati. Il tempo “liberato” dagli impegni di lavoro e di famiglia è un elemento decisivo rispetto alla scelta di impegnarsi in attività di volontariato. Dai dati Istat risulta che oltre il 4% delle persone ultra sessantacinquenni (ed il 6% di quelle tra 60 e 65 anni) partecipa assiduamente ad associazioni e gruppi di volontariato; una quota certa non altissima, ma in lenta, costante crescita. L’ultima rilevazione dell’Istat sul volontariato in Italia mette in evidenza che il 36,8 dei volontari ha oltre 54 anni (erano il 30,4% nel 1995) e sono le volontarie donne ad essere più anziane il 38,4% a fronte del 35,6% degli uomini, specchio di una società in cui l’invecchiamento è tinto di rosa. In riferimento alle motivazioni che spingono le persone non più giovani ad impegnarsi in attività volontaristiche, quella prevalente è di tipo religioso: il 28% dei volontari con più di 65 anni definisce il proprio impegno “una scelta di fede”. Un quarto del totale, invece, considera questa attività “un attributo di senso alla propria esistenza”. Gli anziani volontari si impegnano soprattutto per aiutare anziani in difficoltà nel 38,7% dei casi e malati nel 20,4%. L'impegno risulta quindi marcatamente concentrato su queste due categorie di destinatari. Per i volontari anziani l'attività di volontariato mostra quindi una forte valenza di tipo relazionale e consente di assumere un ruolo sociale apprezzato e riconosciuto che viene esercitato in particolare contribuendo alla vita organizzativa delle associazioni in cui si opera.
Un importante concetto che sta dietro il lavoro volontario è la sua reciprocità: offri qualcosa e ricevi qualcosa in cambio. Cosa ne ricavano gli anziani? Anni di vita più sani. Le persone più vecchie che rimangono attivamente impegnate, infatti, vivono più a lungo e vivono meglio; le loro esistenze sono più sane, "da quando faccio volontariato il mio tempo libero ha acquistato valore, ho smesso di sentirmi inutile e mi voglio più bene. Non sono più in attesa di fare qualcosa, la mia giornata ha dei nuovi ritmi finalizzati ad aiutare gli anziani meno fortunati di me che hanno bisogno di aiuto". Così dichiarano la maggior parte degli anziani interpellati sulle ricadute positive del fare volontariato.


Ma non tutti vogliono fare lo stesso volontariato.
La stima dei volontari presenti nelle organizzazioni solidaristiche è oggi di circa 1.100.000 unità e la maggioranza dei membri vi opera fornendo il proprio apporto con continuità. Ad essi si aggiungono i quattro milioni di volontari che operano individualmente o in qualsiasi tipo di organizzazione e istituzione, in modo non continuativo. Le fasce d’età maggiormente impegnate in attività gratuite di volontariato sono quelle che riguardano i giovani tra i 18 e i 19 anni (11,1%) e quelle relative a coloro che presumibilmente possono dedicare più tempo per tali attività e cioè tra i 55 ed i 64 anni (11,9% per i 55-59enni e stessa percentuale per i 60-64enni). In età più avanzata sono in numero maggiore gli uomini che prestano la loro operosità altruistica (sono il 13,2% i 55-59enni e il 13,6% i 60-64enni) rispetto alle donne la cui attività rimane più costante nel tempo (10,6% per le 55-59enni, 10,2% per le 60-64enni). Per ciò che riguarda le donazioni in denaro alle associazioni di volontariato i valori superano il 20% nelle fasce d’età tra i 55 ed i 64 anni (e con il 19,4% nella fascia dei 35-44 anni). La partecipazione ad attività di volontariato riguarda un numero maggiore di residenti del Nord (11,9%) mentre nel Centro tale quota scende all’8,5% e nel Mezzogiorno al 6%.
Le associazioni del Terzo settore sono quelle che nel corso del tempo hanno mantenuto invariata la loro rilevanza nel panorama delle istituzioni all’interno delle quali gli italiani dichiarano di svolgere attività di volontariato (45% circa dal 1997 al 2006). Per contro è calata considerevolmente la tendenza a prestare opera di solidarietà in modo informale (dal 32,5% del 1997 al 19% del 2006) mentre guadagnano terreno le parrocchie come centro di attrazione per il lavoro dei volontari (dal 33,3% del 1997 al 37,7% del 2006). I settori verso cui è rivolta l’azione del volontariato sono soprattutto la sanità (28%) e l’assistenza sociale (27,8%). Il volontariato rivolto alla tutela del bene comune complessivamente rappresenta il 28,6% delle attività svolte, operando nei settori della partecipazione civica (ambiente, cultura, istruzione ed educazione permanente, protezione civile, solidarietà internazionale).






La Fap ha accolto favorevolmente l’iniziativa della Commissione Europea di aprire, il 7 luglio scorso, un dibattito sulle pensioni con la pubblicazione del Libro Verde “Verso sistemi pensionistici adeguati, sostenibili e sicuri in Europa”. La Fap vuole essere coinvolta pienamente, per difendere gli interessi dei lavoratori e dei pensionati che rappresenta.

1) Sfide comuni
È importante considerare che tutti i 27 Stati membri, anche se in maniera differente, stanno affrontando problemi simili, quali: - il (fausto!) invecchiamento della popolazione, anche se ciò a lungo termine ha delle conseguenze in termini di finanziamento delle pensioni e/o dello sviluppo dei servizi e delle strutture di cura per gli anziani e i grandi anziani; - i cambiamenti nelle strutture familiari che determinano in particolare modifiche di calcolo e riconoscimento dei diritti pensionistici; - lo sviluppo del mercato del lavoro, caratterizzato dal fatto che ci sono persone che vanno presto in pensione, prima dell’età legale, e ciò avveniva anche prima della crisi, ma anche dal fatto che l’entrata nel mercato del lavoro da parte dei giovani avviene sempre più tardi, oltre ad essere caratterizzata da una maggiore precarietà dovuta a una più acuta pressione sui salari (grave aumento del numero dei lavoratori in povertà); - la pressione esercitata sui sistemi pensionistici affinché si conceda più spazio alle pensioni private che dipendono essenzialmente dal mercato finanziario, a discapito dei sistemi pubblici basati sulla solidarietà tra le generazioni; - e, ovviamente, la crisi economica e finanziaria. Nel suo Libro Verde, la Commissione pretende di presentare il dibattito sul futuro dei sistemi pensionistici come un dibattito puramente “tecnico”, mentre le tematiche emerse e le risposte attese in realtà sono eminentemente “politiche”.

La Confederazione Europea dei Sindacati (CES) ha chiarito fermamente che, considerando gli attuali trattati, l’Unione Europea non ha nessuna competenza ad intervenire nella struttura e finanziamento dei regimi pensionistici legali.

Tra i temi affrontati nel Libro Verde, tre hanno suscitato particolare interesse

La Commissione crede che la prima sfida che i sistemi pensionistici devono affrontare sia quella dell’invecchiamento demografico. Questa è una realtà che, chiaramente, deve essere presa in considerazione, ma non deve essere sovrastimata, come spesso si fa, perchè può essere prevista (come dimostra il fatto che gli Stati membri non hanno atteso il Libro Verde per adattare i propri sistemi pensionistici) e possono offrirsi soluzioni congiuntamente concordate. Ma è importante soprattutto notare che la Commissione non traccia una chiara distinzione tra il “rapporto di dipendenza demografica” e il “rapporto di dipendenza economica”. Essa attualmente fa riferimento al primo e ignora il secondo, basandosi per lo più su progetti per il lungo termine (50 anni) che non sono attendibili, dal momento che le cose possono cambiare notevolmente su questo fronte. Ora, per quanto riguarda i sistemi a ripartizione, è decisivo solo il rapporto “economico”, ossia il numero di persone che lavorano, che stanno quindi finanziando quel sistema, ma anche l’aumento della produttività e del Pil, che deve avere delle ripercussioni positive nella qualità dell’impiego e dei salari. Questo significa in definitiva che, posti di fronte a questa sfida, risulta di vitale importanza concentrarsi nella lotta per “maggiori e migliori posti di lavoro” e, più ampiamente, nell’aumento del tasso di occupazione (che attualmente è fermo solo al 66% nei diversi stati membri dell’Ue). In risposta a questo approccio piuttosto parziale la Commissione, mentre accoglie favorevolmente il fatto che alcuni stati membri si sono già avviati verso questa strada, si chiede se la soluzione non consista nell’aumentare l’età pensionabile legale e quindi prolungare l’attività lavorativa dei seniors. Tale scelta pone una serie di questioni. Per esempio: quale è la rilevanza, o il significato oggi, di far lavorare più a lungo i lavoratori anziani, dato che allo stesso tempo, a quegli stessi lavoratori non viene data la possibilità di lavorare sino all’età legale di pensionamento, perchè i datori di lavoro li utilizzano come una variabile per regolare l’assetto del personale. Come riconosce la stessa Commissione, “meno del 50% dei cittadini lavora ancora a 60 anni”, da cui la necessità di una politica per l’impiego per tutte le età. Nel contesto attuale, l’idea di innalzare l’età legale di pensionamento, equivale a spostare il problema senza risolverlo, ossia si passerebbe dal problema del finanziamento delle pensioni a quello della disoccupazione e al suo sostegno finanziario. Non basta, quindi, decretare che “le persone devono lavorare più a lungo”; ci deve essere lavoro per loro, il che rimanda: - innanzitutto, come abbiamo accennato, alla responsabilità datoriale e, - in secondo luogo, alla responsabilità degli Stati membri, in modo particolare alle politiche per lo sviluppo e la pianificazione urbana e nazionale che si stanno o meno applicando. L’elemento sorprendente in questo tipo di dibattiti è la tendenza ad addurre la responsabilità individuale, o persino di attribuire la colpa ai singoli, quando le cause e le soluzioni sono da trovare altrove e sono di fatto strutturali. Cercare di prolungare la vita lavorativa dei più anziani, significa anche trascurare un’altra realtà, ossia quella che dipende dal tipo e dalla natura usurante dell’impiego svolto durante la vita lavorativa, non tutti i lavoratori hanno la stessa aspettativa di vita quando raggiungono l’età pensionabile. L’aspettativa di vita (che non prende in considerazione un altro elemento, ossia l’aspettativa di vita in “buona salute” dopo la pensione) varia in relazione alle categorie socio-professionali o in relazione al tipo di lavoro svolto, con una media di sette anni tra i casi più estremi, ossia tra la professione più usurante e quella meno usurante.. Augurarsi di prolungare la vita lavorativa implica che il lavoro ci sia e che i lavoratori siano in grado di svolgerlo. Ciò rimanda ad altre questioni, quali: - le strategie per lo sviluppo dell’impiego e quindi gli investimenti fatti dalle aziende; - gli investimenti nella formazione nel corso della vita lavorativa, per permettere ai lavoratori di adattarsi agli sviluppi nella loro attività professionale o di riqualificarsi; - le loro condizioni lavorative e - l’applicazione di strategie attive (formazione, qualificazione, reddito garantito, ecc.) per aiutare coloro che hanno perso il posto di lavoro a rientrare a lavoro. Questo aspetto riguarda anche lo sviluppo di una coraggiosa e concertata politica europea per l’impiego. Inoltre, focalizzarsi sull’invecchiamento attivo come fa la Commissione, significa non tener conto della questione oggi drammatica dell’impiego giovanile. La difficoltà dei giovani ad entrare nel mercato del lavoro, è un fenomeno ricorrente. Nonostante ciò che afferma la Commissione, i giovani entrano tardi nel mercato del lavoro non solo perchè studiano più a lungo (non tutti i giovani seguono corsi di studio lunghi), ma soprattutto perchè le aziende non li assumono, e quando lo fanno offrono dei posti senza alcuna tutela lavorativa. Effettivamente, che cosa gli si offre più comunemente quando finiscono gli studi? Tirocini, contratti a tempo determinato, lavori temporanei o part-time. La risposta adeguata non può essere ridotta alla semplice proposta di aumentare l’età legale della pensione, un’opzione che, se generalizzata, sarebbe prematura oggi. L’età “effettiva” di uscita dal mercato del lavoro deve coincidere con l’età pensionabile “legale”.
Noi con tutto il Sindacato europeo quindi, rifiutiamo fermamente qualunque raccomandazione diretta ad introdurre un meccanismo automatico per innalzare l’età pensionabile o qualunque altra soluzione uniforme da applicare in tutti gli stati membri.

Future riduzioni delle pensioni non sono necessariamente inevitabili.

La Commissione sembra supporre che le pensioni pubbliche in futuro dovranno essere inevitabilmente ridotte. ma, tale riduzione non è destinata ad avvenire, purché sia data priorità, sia a livello europeo sia all’interno di ogni stato, a quattro indicazioni: - lo sviluppo dell’impiego, la qualità dell’impiego e dei salari; - lo sviluppo di servizi sociali di qualità; - la continuità del finanziamento dei sistemi di protezione sociale, - la messa in discussione della priorità data in alcuni stati membri, su impulso della Commissione, allo sviluppo degli schemi pensionistici privati, specialmente quelli a contribuzione definita. Tutto ciò in accordo con gli obiettivi sociali stabiliti a livello europeo sia nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, nella Carta dei Diritti Sociali Fondamentali o nella Strategia 2020, incluso l’obiettivo per ridurre la povertà.

Gli investimenti in servizi sociali di qualità sono necessari anche in vista dell’invecchiamento della popolazione. Effettivamente, la Commissione osserva che “le cure formali stanno gradualmente sostituendo le cure informali” nel caso di persone anziane non autosufficienti, ma ciò al fine di “deplorare ulteriori pressioni sulla spesa per l’assistenza”. La Ces ha un approccio completamente diverso. Tale assistenza “formale” attraverso strutture di servizi di assistenza, e lo stesso è valido nel caso dei bambini: - costituisce una fonte di lavoro (qualificato), quindi concorre al finanziamento sociale attraverso i contributi che generano, così come allo sviluppo dell’economia, come qualunque altro lavoro; - il suo sviluppo permette alle donne in particolare di conciliare vita professionale e privata, di entrare, se lo desiderano, nel mercato del lavoro e, nel fare ciò, di aumentare il tasso d’impiego nell’Unione Europea. 3.3 Ciò significa anche garantire e migliorare il finanziamento dei sistemi di protezione sociale Per la Ces, investire nella protezione sociale non è una spesa ma un “investimento produttivo”, come riconobbe la Commissione alcuni anni fa, ben prima della crisi. Da qui la necessità di preservare il suo finanziamento. Piuttosto che cercare di ridurre la protezione sociale e i suoi mezzi, la vera mobilitazione e gli sforzi fatti, devono essere volti a garantirla e 5 a fornirle i mezzi per svolgere la propria missione. È compito delle autorità pubbliche di adottare delle misure, in particolare per il finanziamento ed il sostegno dell’economia. L’Unione e gli Stati membri convengono nell’affermare che hanno affrontato la crisi meglio di altre aree del mondo, grazie all’efficienza degli esistenti sistemi di protezione sociale. Tuttavia, stanno emergendo chiacchiere e comportamenti paradossali e contraddittori. E le prime misure che si stanno adottando consistono in tagli drastici del bilancio e /o dei servizi sociali, tutto nel nome di bilanci equilibrati che li priva degli strumenti di azione. La Ces, quindi, non può accettare la posizione della Commissione così come esposta nel Libro Verde, che consiste nell’applicare riforme al sistema pensionistico finalizzate principalmente alla “sostenibilità delle finanze pubbliche”, ossia subordinare l’ammontare e la qualità delle pensioni alle capacità finanziarie degli Stati. Questo significherebbe “mettere il carro davanti ai buoi” e ribaltare i termini dell’“equazione sociale”. L’approccio della Ces è quello di garantire pensioni dignitose ed adeguate cercando e implementando misure sociali capaci di raggiungere questo obbiettivo. Assicurare il finanziamento, significa innanzitutto esaminare tutte le pratiche di esenzione fiscale e/o sociale implementate dagli Stati membri che riguardano innanzitutto l’impiego, dal momento che, a quanto si dice, sono intese a rimuovere gli ostacoli all’impiego. Queste esenzioni sono ancora concesse senza un tangibile rendimento, e quindi impegno da parte delle aziende a sostenere e/o a sviluppare l’impiego. Il risultato è una manna per le aziende e una riduzione di risorse per i sistemi di protezione sociale. Come raccomanda la Ces, devono essere trovate anche altre fonti di finanziamento, che penalizzino meno l’impiego e le aziende che impiegano lavoratori, e che colpiscano coloro che cercano di evadere le procedure di solidarietà, in modo che contribuiscano in maniera adeguata. Queste nuove risorse devono, tuttavia, essere stanziate per il bilancio sociale in maniera effettiva e sostenibile. Senza augurarsi di mettere in discussione le esistenti pratiche nazionali, la Ces non è a favore dell’estensione delle pratiche di esenzione fiscale che incoraggino la sottoscrizione di piani pensionistici privati, non fondati sul principio della solidarietà. Tali pratiche sono socialmente inique, dal momento che la maggior parte delle volte ne beneficiano solamente coloro che possono permettersi questo tipo di pensione. Inoltre, come riconosce la stessa Commissione, tali pratiche di esenzione possono avere delle “considerevoli” conseguenze negative sulle finanze pubbliche. 3.4 Abbandonare la strategia per sviluppare sistemi di pensioni private per beneficiare i sistemi basati sul modello di ripartizione e quindi sulla solidarietà inter e infra generazionale L’impatto dell’invecchiamento della popolazione si ripercuote allo stesso modo su questi sistemi e come rileva la Commissione “tali rendimenti potenzialmente più bassi sugli investimenti nei fondi pensione possono portare a contributi più alti, minori benefici pensionistici, maggiore perdita di capitale o maggiori rischi”, che oggi non è più una mera eventualità ma una realtà. E questa realtà non è solamente il risultato dell’invecchiamento della popolazione, anche se questo fenomeno non è neutro. Secondo la Ces, la debolezza dei sistemi pensionistici privati, specialmente quelli a contribuzione definita, che di fatto sono piani di risparmio per la pensione, deriva dalla natura stessa di questi sistemi, perché sono innanzitutto sistemi “finanziari”, che li rendono direttamente dipendenti dagli sviluppi in quei mercati. E anche se, come propone la Commissione nel suo libro, deve essere fatto un tentativo per ridurre “il rischio di investimento assunto dagli iscritti nel momento in cui si avvicinano alla pensione”, concetto condiviso dalla Ces, ciò non li protegge né li rende immuni di fronte al rischio. E qualunque 6 crisi che avvenga in questo ambito ha conseguenze negative dirette su questi fondi pensionistici e sul reddito dei pensionati. Come rileva la Commissione, l’applicazione di questi sistemi implica un altro rischio, quello di non riuscire a mantenere la promessa fatta, nel qual caso i beneficiari si dovranno rivolgere alle autorità pubbliche che dovranno allora correre in loro aiuto senza aver riscosso i contributi pertinenti ai benefici che ora dovranno erogare. Questo è sempre stato denunciato dalla Ces. Da ciò la necessità di una strategia che preferisca le pensioni basate sulla solidarietà e non sull’andamento del mercato finanziario. Deriva, quindi, anche la necessità che i rappresentanti dei lavoratori e dei pensionati abbiano il proprio posto negli organi di supervisione ma anche in quegli organi che hanno il compito di definire le politiche di investimento e le strategie per i sistemi pensionistici privati, per promuovere investimenti socialmente responsabili nell’interesse dei contribuenti e dei beneficiari. Infine, la Ces si oppone a che le norme di “solvibilità”, applicate alle compagnie di assicurazione, vengano applicate allo stesso modo alle pensioni private di solidarietà, poiché comporterebbero obblighi finanziari non giustificati perché il rischio è coperto per un periodo molto lungo e le norme implicano un notevole aumento dei contributi che dissuaderebbe l’adesione a questi piani pensionistici. 4) Sì alla continuità e alla sostenibilità dei sistemi pensionistici La Ces concorda con la proposta della Commissione di: - migliorare l’informazione per gli utenti, - rafforzare le norme riguardanti la trasparenza dei sistemi pensionistici privati, le loro strategie di investimento e la solvibilità, - rimuovere gli ostacoli alla mobilità nelle pensioni complementari. La Ces sarebbe a favore di una nuova iniziativa riguardante la portabilità dei diritti pensionistici da lavoro alla sola condizione che ciò non abbia effetti negativi sui sistemi nazionali. Ma mobilitarsi per “sistemi pensionistici europei adeguati, sostenibili e sicuri” non si riduce all’applicazione di misure di “modifiche tecniche”, tanto più che, quando analizzate, le misure proposte dimostrano di non essere neutrali e come minimo tendono a confermare/rinforzare fondamentali orientamenti politici già implementati in alcuni paesi. Passate esperienze hanno sempre dimostrato che le riforme richiedono conformità con alcune regole fondamentali: - le riforme intraprese devono essere basate su osservazioni e diagnosi condivise. Ciò implica scambi, dialogo e consultazione; - devono coinvolgere tutte le parti sociali. Non devono quindi provenire esclusivamente dai politici, ma devono coinvolgere i sindacati in particolare; - devono essere eque e giuste e riguardare tutti, non solo una categoria di persone; - devono aver luogo per un certo periodo di tempo, se devono essere “socialmente accettabili”; - devono essere valutate periodicamente, e qui ancora una volta, ci deve essere consenso sulla loro pertinenza, utilità o sul fatto che devono essere sostenute; - devono prendere in considerazione la diversità lavorative e delle carriere professionali. Una vera mobilitazione in favore di sistemi pensionistici sostenibili di qualità, deve innanzitutto essere perseguita a monte, ossia affrontando il tema della qualità del lavoro e 7 della retribuzione che, nei sistemi di assicurazione sociale in particolare, ha un’influenza nell’ammontare della futura pensione. E questa qualità dell’impiego e della retribuzione a sua volta assicura finanziamento e sostenibilità per tutti i sistemi, siano essi assicurazioni o sistemi pubblici. Nessuna riforma pensionistica, quindi, può prescindere da una politica per l’impiego attiva e coraggiosa, ancora di più in un contesto di disoccupazione crescente tra i giovani e di un’esplosione di mancanza di sicurezza nel lavoro. Il coinvolgimento dei sindacati, che rappresentano gli interessi dei contribuenti e dei pensionati, deve essere permanente ed effettivo a tutti i livelli decisionali e di supervisione. Devono anche essere consultati e coinvolti nell’attuazione delle riforme progettate e/o applicate e sulla loro valutazione. Questa discussione sui modelli di sistema pensionistico da applicare o incoraggiare/sviluppare nell’Unione Europea è incentrata sulla discussione riguardo ai valori e al tipo di società che si vuole promuovere in Europa. I sistemi pensionistici devono sostenere la costruzione di un’Unione Europea basata sul mercato e il libero movimento dei capitali? O ci auguriamo di costruire e promuovere un’Europa sociale, basata sui valori della solidarietà e responsabilità collettiva che può garantire un reddito adeguato per tutti sino all’età della pensione? Questa è la scelta della Ces, più pertinente che mai nel 2010, l’Anno Europeo della Lotta alla Povertà e all’Esclusione Sociale.


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